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DEATH UPON US
Camelot. Regno di Elohim. Est.- Lavik! – gridò Ginevra, sguainando la spada e puntandola contro di lui.
Lavik fissò Morgause, ma da lei non venne nessun aiuto. Era chiaro che doveva affrontare la sorella in un duello che avrebbe coinvolto solo loro due. Era stato lui a dire a Morgause che se ne voleva occupare personalmente ed era arrivata la sua occasione.
Estrasse la spada dal fodero e salì in groppa al suo cavallo. Spronandolo, valutò la situazione. Sapeva che Ginevra era brava con l’arco, aveva una mira infallibile, ma non l’aveva mai vista con una spada in pugno né tantomeno con un’armatura. Tuttavia erano diversi anni che non posava gli occhi su di lei.
Scrutò gli stendardi che sventolavano. Ora poteva vederli abbastanza bene. Il vessillo di lord Mida sulla destra, sir Kay e i soldati di Camelot al centro, insieme a quelli di lord Ban del Benwick... e sul fianco sinistro il lord del Dunbroch, Fergus, riconoscibile perché era a capo scoperto e la sua folta chioma rosso fuoco era inconfondibile. Aveva una gamba di legno e si diceva che fosse stato un orso nero a strappargliela.
- Vai incontro alla morte in questo modo, sorella? – la schernì, quando fu abbastanza vicino.
- Oh, Lavik. Davvero mi sottovaluti?
- Sarebbe più facile se ti arrendessi. Siete in inferiorità numerica. Se gli eserciti si scontrassero, i tuoi avrebbero la peggio. Consegnaci la città e può essere che ti risparmi la vita.
Ginevra rise. Rise di gusto. – Non avrai mai quello che vuoi, Lavik. Preferisco morire qui che consegnarti Camelot. O il Seggio Periglioso. Non ti meriti nemmeno la più arida delle terre.
Il lord del Cameliard spronò il cavallo e la investì con furia cieca. La sua spada slittò sull’armatura della regina in una pioggia di scintille, mentre il suo cavallo scartava.
Nymeria. Regno di Mehlinus. Nord.Tremotino guardava la battaglia attraverso uno degli specchi nella torre più alta del castello.
Vedeva Regina e l’erede dei Blanchard cercare di farsi largo in mezzo a uomini ombra, cittadini in fuga, soldati in armatura nera e detriti, ma con molta difficoltà. La loro avanzata era rallentata. Si combatteva ovunque e non c’era spazio soprattutto lungo la via che conduceva al castello e che a volte si restringeva.
Vide la retroguardia dell’esercito di Artù che entrava a Nymeria. Non avevano subìto molte perdite, cosa che gli dispiacque. Piombarono in città, schiamazzando, levando le armi al cielo e aprendosi subito a ventaglio. Cantavano. Chi non aveva più un’arma raccoglieva quelle abbandonate dai caduti o da chi era scappato. Una chimera entrò dietro di loro, sventagliando la coda da drago e ruggendo. Dalla bocca fuoriuscirono lingue di fiamma.
I due draghi, uno bianco e uno nero, volavano sopra la città, spingendo i civili giù dai tetti, attaccando gli uomini rimasti sui camminamenti o quelli che stavano uscendo dalla porta meridionale per darsela a gambe.
Notò un uomo biondo che stringeva il corpo senza vita di un giovane vestito come un ufficiale.
Vide il re di Camelot abbattere altre ombre.
Tremotino sapeva che Merlino era vicino. Aveva avvertito la sua presenza. Non sapeva se fosse a Nymeria o nei dintorni, ma c’era. Stava dando man forte all’esercito di Artù e Morgana stava aiutando il fratello.
Sperava con tutto il cuore che gli incantesimi che stavano mettendo in atto costassero loro la vita.
- Che cosa intendi fare? – domandò il Genio. La sua faccia contrita galleggiava dentro uno degli specchi.
- Presto lo scoprirai. Alla fine anche tu sarai molto utile. Fidati. – rispose Tremotino.
Poi vide qualcosa che non si aspettava di vedere. Due uomini. Erano accompagnati da lupi, quindi appartenevano a quel Branco di selvaggi che Regina ed Emma avevano portato con loro.
- Ma guarda che meravigliosa sorpresa! – esclamò Tremotino. – Il capitano Jones e il suo fratellino. Deve essere la mia giornata fortunata.
Nella sala del trono la regina Cora preparava un incantesimo.
Merlino barcollò all’improvviso e si appoggiò alla spalla del ragazzo che gli aveva portato l’acqua. Lui lo sorresse come meglio poté.
- Venerabile, ce la fate? Volete distendervi?
- Non è il momento di riposare. – rispose Merlino.
L’occhio gli si era momentaneamente appannato. Le forze stavano iniziando ad abbandonarlo. Aveva cercato di penetrare le difese di Tremotino. Non sperava di essere così fortunato da poterlo uccidere, ma voleva capire che cosa stesse facendo all’interno del castello, se stesse preparando qualche trappola.
Si era scontrato con un muro molto solido. Aveva tastato per trovare delle crepe, uno spiraglio anche piccolo, ma non c’era stato modo di superare le barriere mentali sollevate dal suo ex allievo.
L’occhio si riaprì. Con una lentezza che Merlino giudicò esasperante, ma si riaprì e tornò a vedere ciò che stava accadendo. Non si limitò a vedere, ma udì. Un ragazzino con la pelle scura e i capelli neri, salito sul tetto di una casa, incitava la gente, agitando una spada rudimentale e cantando una canzone.
Udite udite, si parla a gran voce
di una grande menzogna e di un’ingiustizia atroce
Si inizia la battaglia uniti tutti quanti
Lottiamo contro il Cobra o vivremo di rimpianti
Lottiamo giorno e notte
contro chi ci sfotte
da noi non puoi fuggire
oh, Cora non mentire!Morgana perse l’equilibrio. Cercò un punto di appoggio, non lo trovò e cadde sull’erba.
Sua madre fece per intervenire, ma lei agitò una mano. Si alzò. Per un momento non vide più nulla e non sentì più nulla se non il rombo del suo stesso sangue nelle orecchie. Il suo cuore pulsava più forte che mai.
Non puoi arrenderti, gli impose una voce squillante e autoritaria.
Devi resistere.Chi sei?, chiese Morgana.
Io sono Avalon.La Somma Sacerdotessa avvertì una nuova ondata di energia che le rinvigoriva le membra e la spingeva a continuare a combattere. Salì in piedi sulla pietra al centro del Tor e allargò le braccia. Quando chiuse gli occhi, subito la vista interiore si schiarì.
Igraine indietreggiò, sbigottita, davanti al potere emanato dalla figlia. I suoi occhi non erano più azzurri, ma di un viola cupo e tempestoso e la sua figura era ben più imponente del solito.
Per un momento pensò che la Dea Madre avesse appena posseduto Morgana.
Dal palmo di Regina sfrecciò un globo infuocato, che al suo passaggio tinse le finestre di una casa vuota di una luce sanguigna.
Il globo colpì un cavallo, che si arrestò con un nitrito di dolore e cadde di schianto. Il modo in cui morì le ricordò per qualche motivo l’unicorno che aveva ucciso nella foresta molti anni prima. Il cavaliere in sella balzò a terra agilmente e si volse per affrontare Gawain, che era sopraggiunto e aveva tentato un affondo per sorprenderlo. I due iniziarono a combattere furiosamente.
Emma abbatté un’altra ombra, che si dissolse immediatamente. Poi guardò la strada piena di gente che lottava e subito levò una mano: - Ignis!
Uno spicchio di strada prese fuoco all’istante. Con uno sguardo feroce e concentrato, Emma diresse le fiamme in modo che evitassero i suoi alleati. Gli avversari che si trovarono sulla traiettoria si trasformarono in torce umane.
Emma avanzò nel passaggio che si era aperta con la magia, seguita da Regina.
La gente sui tetti seguitava a cantare.
Tortura e ammazza ma è una brava sovrana
speriamo che capiti sotto a una frana!
Amara,stai attenta alla nostra afflizione
se scherzi col fuoco t'aspetta l'abdicazione!
Lottiamo giorno e notte
contro chi ci sfotte
da noi non puoi fuggire
Oh, Cora non mentire!- Avanzate! – gridò Artù, spronando i suoi. Era stato ferito superficialmente a un fianco, ma non stava perdendo sangue. Si assicurò che il fodero di Excalibur fosse ancora integro. Finché non gli fosse stato sottratto, non avrebbe mai perso molto sangue.
Daniel affiancò il re e avanzò, insieme a Jim e Will, che venivano subito dietro di lui.
Dal castello arrivò uno sciame di frecce che li costrinse a sollevare gli scudi per proteggersi. Altri uomini ombra partoriti dalla magia si fecero sotto, bloccando la via che conduceva alla dimora della regina...
- Capitano Jones!
Liam si voltò di scatto e d’istinto spinse la lama in avanti per colpire l’avversario.
Come fa a sapere il mio nome?, si chiese.
La lama colpì il nulla. L’uomo si era tramutato in una nube e aveva guadagnato distanza. Aveva un aspetto terribile, la pelle viscida e squamosa come quella di un rettile, i denti gialli che sembravano zanne e le unghie delle mani lunghe come artigli.
Il consigliere Tremotino.
- Che piacere vedervi! Non avrei mai immaginato di trovarvi a combattere proprio qui e con un gruppo di cani rabbiosi.
- Come sapete il mio nome?
Tremotino rise, come se la sua domanda fosse incredibilmente divertente. – Sarò ripagato per quanto mi è stato fatto. Vi avevo dato un ordine e voi siete fuggiti senza la mia pianta!
Liam si avventò contro di lui senza riflettere.
Una freccia sibilò nell’aria e lo colpì al collo.
Liam stramazzò, sputando sangue. Tremotino disparve.
- Liam! – gridò Killian.
Uccise un uomo che gli stava sbarrando la strada. Un altro si avventò contro di lui e lo spinse a terra. Killian parò il fendente, sollevando la spada e, con una spinta, allontanò il soldato da sé. Si fece in là e menò un manrovescio quasi a casaccio. Il colpo andò a vuoto e il soldato poté tentare un affondo. Per poco non lo sorprese, ma la sua mossa permise a Killian di colpirlo al fianco scoperto. La punta della spada colse il soldato fra le costole, forandogli la cotta di maglia e penetrando nella carne.
- Liam... no. – Killian si gettò sul fratello e lo sollevò, tenendolo fra le braccia. Aveva anche una ferita al braccio.
Gli occhi di Liam erano spalancati e vitrei, fissi su di lui. Dalla bocca gli uscì altro sangue. – Sono... la ferita... è una ferita crudele...
- No. No, no, no... andrà tutto bene, vedrai. – Killian si guardò intorno alla disperata ricerca di qualcuno che potesse aiutarlo, ma tutti combattevano. C’erano solo cadaveri, sangue, spade che baluginavano e cozzavano le une contro le altre, frecce che volavano sopra le loro teste. Nessuno si curava di loro.
- Sulle Isole Brumazzurra avrei dovuto darti ascolto... – Tossì e un rivolo di sangue gli colò sulla guancia e sul collo.
- Non pensare a questo ora.
Una risatina dietro di lui. Una risata crudele e sprezzante, stridula.
Killian si voltò e per un momento pensò di essere in preda al delirio. Forse anche lui era ferito e non se ne era accorto. Forse aveva perso molto sangue e stava per morire.
Lord Kaspar, l’uomo che aveva mandato lui e Liam sulle isole Brumazzurra a prendere la pianta velenosa chiamata Rubus Noctis, era davanti a lui, alto e longilineo, elegante e con i lunghi capelli grigi che gli si sollevavano dietro le spalle. I suoi occhi erano occhi da rettile.
- Siete stato Voi... – Killian adagiò il fratello sulle pietre e recuperò la sua spada.
- Non affaticatevi, tenente Jones. – lo canzonò l’altro. Mostro due file di denti che erano gialli e appuntiti come zanne. Poi un globo di luce azzurrata lo avvolse e al posto di lord Kaspar ricomparve il consigliere Tremotino.
- Ma chi...?
- Siete stupito? Non ne dubito. Mi avete deluso, quella volta, tenente. Il Rubus Noctis mi serviva. Bastava prendere la pianta e portarmela. Sarebbe andato tutto bene e sareste stati ricompensati. – Lo stava rimproverando come un ragazzino colto sul fatto mentre commetteva qualche marachella.
Rubus Noctis.
Mi avete deluso, quella volta, tenente. - Voi siete lord Kaspar? Siete sempre stato Voi?! – gridò Killian, sopraffatto dalla rabbia e dall’incredulità.
- Ma certamente! Solo che allora non era necessario che lo sapeste. Adesso... beh sì. Avrei dovuto cercarvi dopo la vostra scomparsa, ma avevo... molte cose a cui pensare.
Killian lo maledisse e lo aggredì. La lama affondò nel petto di Tremotino, che si limitò ad una smorfia di dolore, seguita da un’altra di quelle risate stridule.
- Non potete uccidermi, capitano. Le armi comuni non possono niente contro di me. – Con un gesto rapido e una parola magica, Tremotino gli sottrasse la spada e l’abbatté sul suo polso, che non era protetto da armatura o cotta di maglia.
Gli tagliò la mano.
Killian urlò di dolore, afferrandosi il moncherino e cadde vicino al fratello morente.
Deyja.Emma pronunciò la parola elfica, aggredendo con tutte le sue forze le difese erette intorno alla mente di Tremotino. Morgana le aveva detto di non usare troppa magia elfica, ma le parole affioravano dalle profondità della sua mente e lei non poteva fare altro che usarle, soprattutto se qualcuno era in pericolo di vita.
Tremotino barcollò leggermente, ma i muri ressero e il consigliere di Regina scomparve in una nube viola.
- Maledetto! – gridò Killian.
Sopra di lui uno dei draghi ruggì.
Liam esalò l’ultimo respiro e i suoi occhi divennero vuoti e spenti. Il suo lupo lo trovò e si avvicinò, annusando brevemente il viso e leccandogli un taglio che aveva sul mento. Killian gridò il nome del fratello, mentre il sangue continuava a sgorgare dal moncherino. Emma concentrò le sue energie sulla ferita. Avrebbe dovuto proseguire, continuare l’avanzata verso il castello, ma quegli uomini stavano combattendo per lei. Stavano morendo per lei. Non poteva salvarli tutti, ma avendone la possibilità avrebbe aiutato chi poteva aiutare.
Il moncherino smise di sanguinare.
- Swan... – mormorò lui, allungando la mano che gli restava e stringendo il braccio di Liam. Cercò persino di sorriderle, ma fu più che altro una smorfia sofferente. - Grazie.
Emma non ebbe tempo di rispondergli. L’attaccarono in due e dovette dare il meglio di sé per difendersi.
Killian prese la spada di Liam. Non avrebbe abbandonato il corpo del fratello e avrebbe impedito a chiunque di toccarlo.
Emma aveva il respiro affannato, i muscoli tesi, pronti a respingere qualsiasi attacco. Ogni fibra del suo essere formicolava di energia e di furia, nonostante avesse usato la magia elfica e si sentiva più viva che mai. Una lancia rimbalzò sul suo scudo, ammaccandolo. Scrollandosi di dosso il dolore alla spalla, Emma fracassò il cranio del soldato, sfondandogli l’elmo.
Lottiamo giorno e notte
contro menti corrotte
insieme dobbiamo agire
Oh, Cora non mentire!Guardò Regina. Ogni volta che Stormbringer colpiva, non c’era scampo per i nemici. Dopo che un’ascia ebbe trafitto uno degli uomini di Artù, lei l’afferrò e la rispedì contro chi l’aveva lanciata, prendendolo in pieno petto. Dove Stormbringer non arrivava, era la magia a colpire.
Più a destra, un soldato di Cora schivò il colpo di mazza di Agravain e roteò la spada. Il fendente si abbatté sull’elmo del cavaliere, spingendoglielo all’indietro. Stordito, con la vista annebbiata e le orecchie che ronzavano, Agravain tentò di raddrizzarsi. L’altro uomo era già pronto a sferrare il colpo, ma una lama robusta comparve all’improvviso dal suo torace. Gorgogliando, quello cadde a terra. Percival estrasse la spada dalle carni del soldato e restituì ad Agravain la mazza chiodata.
Galahad planò sulla città e afferrò tra le zampe due soldati che stavano dando del filo da torcere a Gawain e li gettò nel fossato che circondava il castello. Lilith sputò fuoco contro gli arcieri sui camminamenti. Una torretta crollò, colpita dalla sua coda.
Uno degli uomini sulle mura scagliò una lancia con tutta la forza che aveva, approfittando del fatto che il drago stesse volando basso e quella le si conficcò in un fianco, tra due scaglie. Lilith ruggì e traballò. Dispiegò le ali con uno schiocco sonoro per riprendere l’equilibro ed evitare di schiantarsi al suolo e virò bruscamente, sfiorando il terreno con la punta dell’ala destra. La lancia cadde. Lilith recuperò quota.
Stai bene?, le domandò Galahad, parlandole con la mente. Merlino gli aveva detto che era possibile durante il duro addestramento che gli aveva impartito prima che partissero e infatti fu molto semplice e naturale.
Sì, è solo un graffio, rispose lei.
Davvero pensano di spaventare un drago con una lancia?Emma vide Lilith che per poco non precipitava e fu sul punto di aiutarla con la magia. Sentì che una parola elfica stava per salirle alle labbra, ma poi la vide risollevarsi con un poderoso colpo di ali.
Emma. La voce di Morgana la sorprese. Era da un bel pezzo che non la sentiva.
Morgana, sei tu?
Sì. Ascoltami bene. Ci sono due mostri di guardia all’interno del castello. Sono yaoguai. Erano umani, ma credo che Cora... o Tremotino li abbia trasformati. Sono creature feroci. Fate attenzione. Merlino ha cercato di penetrare le difese di Tremotino, ma non è stato possibile. Nel castello sarete sole. Emma strinse le labbra. D’accordo.
Una spada si abbatté con violenza sulla schiena di Anita, lacerando stoffa e carne. La donna urlò e cadde in ginocchio. Zoppicava già per una ferita al polpaccio.
La sofferenza la faceva stare piegata in due e sopprimeva ogni pensiero. Phaona lottava contro l’uomo che l’aveva colpita, ringhiando.
Anita cercò di rimettersi in piedi, ma vacillò, la vista le si offuscò e divenne appena cosciente del sangue che le scorreva copioso sulle reni.
Udì la voce di sua figlia Ruby. Era lì vicino. Disse qualcosa, ma non riuscì a capirla. Chiamò il suo nome.
Col cuore gonfio di angoscia, Anita alzò gli occhi al cielo, il volto già rigato di lacrime.
Poi Raksha, la lupa di Ruby, si gettò su di lei e l’azzannò alla gola.
- Raksha! – urlò Ruby, soffocata dall’orrore.
La lupa si era buttata sul corpo già martoriato di sua madre e aveva puntato direttamente alla gola. Anita giaceva a terra, con lo sguardo aperto e vuoto.
Raksha sollevò il muso insanguinato e Ruby vide che i suoi occhi erano viola.
Non erano mai stati così prima d’ora.
- Magia! – gridò Quinn. Anche lui era sporco di sangue, ma non sembrava ferito. Phao lo incalzava, ringhiandogli contro. Phaona aveva azzannato la gamba di un uomo e non mollava la presa, mentre quello urlava a squarciagola. Era uno degli uomini di Artù, lo capiva dal dragone impresso sullo scudo. Lo usò per difendersi. Colpì la lupa, che si allontanò per un istante, ma poi tornò alla carica.
- Magia? – Ruby non riusciva a staccare gli occhi dal corpo della madre. Il cadavere venne calpestato da altri piedi di persone in fuga. Uno inciampò malamente, cadde addosso alla donna morta, imprecò e si rialzò, ricominciando a correre.
Una furia cieca le montò dentro. Ruby fece lo sgambetto a quell’uomo, che si schiantò di nuovo, sbattendo il mento. Poi prese una pietra e si avventò contro di lui, scaraventandogliela sul cranio scoperto. Una, due, tre volte.
- Un incantesimo! Li stanno controllando! – urlò Quinn.
Ruby gettò via la pietra insanguinata. - Come li fermiamo?
Emma e Regina non si vedevano da nessuna parte. Dovevano essere più avanti.
- Cosa fai, Akela? – Graham notò che il lupo lo stava puntando, con occhi che erano diventati improvvisamente di un viola cupo. Un filo di bava colò dalle fauci.
Akela si lanciò contro di lui.
Emma stava incitando Maximus, che si faceva largo tra persone che scappavano e cadaveri. Le urla dei feriti che chiedevano misericordia le riempivano le orecchie. Il sangue le si stava rimescolando nelle vene, bollente come lava. La canzone che alcune persone continuavano a cantare la riempiva di furia.
Lottiamo giorno e notte
contro chi ci sfotte
da noi non puoi fuggire
Oh, Cora non mentire!
Lottiamo giorno e notte
contro menti corrotte
insieme dobbiamo agire
Oh, Cora non mentire!- Emma! – gridò Regina.
Lei si voltò in tempo per vedere Rama, il lupo di Peter, che spiccava un balzo e si scagliava su di lei con le fauci spalancate.
Istintivamente Emma levò una mano e compì un gesto convulso. Rama venne sospinto lontano da lei dall’onda di magia che lo investì.
Che sta succedendo?Magia, disse Morgana, nella sua mente.
È un incantesimo. Cora li controlla.
Cosa facciamo?
Ci provo io. Ho trovato uno spiraglio. Non mollare.Regina avvertiva una magia malvagia vibrare nell’aria. Un incantesimo oscuro. Riconobbe l’impronta di sua madre, come se si trovasse lì in mezzo loro.
Peter non trovava più Rama. Lo aveva perso di vista in mezzo alla confusione.
Però vide Raksha. La lupa di Ruby gli veniva incontro con il muso insanguinato e due occhi selvaggi, di un viola tempestoso.
- Raksha?
La lupa della sua ragazza spiccò un balzo. I denti aguzzi scintillarono come lame affilate. Peter lanciò un grido e menò un fendente a casaccio, spinto più dall’istinto di sopravvivenza che dal desiderio di fare del male.
La spada ferì Raksha di striscio a una gamba. La lupa ringhiò, ma non sembrò accorgersi della ferita. Era troppo concentrata sul suo obiettivo.
- No, Raksha... fermati! Sono io! – gridò Peter, indietreggiando.
Ruby evitò per un pelo di essere azzannata da Phaona, che attaccava chiunque le capitasse a tiro. Non riconosceva più i membri del suo Branco.
Si fece largo in mezzo alla calca. La sua spada affondò in altre carni, mozzò le teste degli uomini ombra, si aprì la strada. Doveva trovare Peter. E sua nonna. Granny era stata risucchiata dalla folla dopo che erano riusciti ad entrare a Nymeria. L’idea di essersi lasciata alle spalle il corpo di sua madre... l’idea di quello che avrebbero potuto farle... la riempiva di sgomento. Ma se si fosse fermata l’avrebbero uccisa.
Peter era quasi sempre stato vicino a lei. Se Rama lo avesse attaccato... non avrebbe mai avuto la forza di uccidere il compagno.
- Raksha, fermati! Sono io! Non farlo! – urlò ancora Peter.
Lei lo attaccò di nuovo. Peter si spostò appena in tempo. Alcune persone lo urtarono e lui perse la spada. Afferrò un bastone, sottraendolo dalle mani di un uomo già morto e lo brandì contro la lupa.
Il colpo che inferse andò a vuoto. Raksha, invece, riuscì a chiudere le fauci intorno alla sua gamba.
- Ti prego! – implorò. – Sono io...
Raksha evitò le bastonate che lui cercò di sferrare un po’ alla cieca. Peter la centrò una volta sola, ma non fu abbastanza.
La lupa affondò gli artigli nel suo petto.
Nella sala del trono Cora barcollò quando Morgana penetrò le sue difese.
Un dolore improvviso e lancinante l’accecò temporaneamente. Lottò per respingere l’attacco e ci riuscì, ma la Somma Sacerdotessa aveva trovato una breccia e tornò ad attaccarla.
Cora comprese che era vero ciò che si diceva su di lei. Era una maga formidabile. Non si trovava a Nymeria, il suo attacco veniva da molto più lontano, trapassava tempo e spazio. Era qualcosa che solo chi aveva sempre posseduto il dono della magia e si era allenato costantemente riusciva a fare.
Ma non poteva resistere a lungo. Cora lavorò per erigere barriere più alte e chiudere la breccia nella sua mente.
Graham pensava che non ce l’avrebbe fatta. Qualsiasi cosa stesse controllando Akela, era molto più forte del lupo.
Il suo compagno era sopra di lui e Graham aveva una mano coperta dal guanto corazzato stretta intorno al suo muso. Faceva forza per allontanarlo da sé, ma Akela era un animale giovane ed energico. Non era ferito e non era neppure stanco. Lottava come se stesse cercando di uccidere un nemico.
Aveva già capito che, se non l’avesse ucciso, Akela lo avrebbe dilaniato.
Amico, mi dispiace.Gli scivolò una lacrima sulla guancia, mentre con la mano libera afferrava l’elsa del pugnale.
Poi Akela si fermò. I suoi occhi tornarono normali. Uno nero e uno rosso.
Il lupo lo fissò, quasi sconcertato, ansimando, con la lingua penzoloni. Drizzò le orecchie, scosse la testa più volte, come se ci fosse ancora qualcosa che lo infastidiva.
- Akela?
Akela gli annusò la faccia e gliela leccò, emettendo bassi gemiti gutturali.
Era tornato.
Ruby si buttò a terra, accanto a Peter.
Raksha uggiolava e scuoteva il viso del ragazzo con il muso. Teneva la testa e le orecchie basse.
- Sono qui, Peter. – sussurrò Ruby, prendendolo delicatamente tra le braccia. Accarezzò il suo viso e la fronte.
- Ti vedo... Raksha... – Peter faticava a parlare. Allungò una mano verso la lupa, che gliela leccò e si strusciò contro di essa.
- Era magia, Peter. Li stavano controllando.
- Lo... lo immaginavo...
Ruby vide che aveva il petto squarciato, il tessuto della casacca era intriso di sangue. Aveva anche una ferita sul collo, molto profonda e un morso al polpaccio. Raksha gli aveva strappato tre dita della mano sinistra.
- Devi... devi andare. Lasciami qui. – mormorò Peter. – Devi andare...
Ruby scosse la testa con forza, le lacrime che già le rigavano le guance. - No, Peter. Io non ti lascio... ho dovuto lasciare mia madre, ma non lascerò anche te...
- Ti perdono... – disse Peter. Parlava a Raksha, ora. Con la mano libera, le fece una carezza lieve. – Tu... non hai colpa. Era... magia. Tu... devi proteggere Ruby.
- Peter, guardami...
Lui girò faticosamente la testa e riuscì persino a sorriderle. Aveva le labbra spaccate e i capelli incollati alla fronte sudata. – Non ha colpa... diglielo. Diglielo anche... quando tutto sarà finito. Continua a combattere...
- Peter...
Il corpo del ragazzo si rilassò fra le sue braccia. La mano che accarezzava Raksha ricadde al suolo, inerte.
Emma spinse Maximus verso il ponte levatoio del castello. Era ancora alzato, ma gli uomini sui camminamenti erano morti o erano troppo occupati a nascondersi per non essere inceneriti.
Regina falciò altri uomini ombra che le bloccavano il passaggio, poi gridò una parola magica nella Lingua Antica, sollevando la spada verso il cielo.
Si udì uno schianto. Le funi dell’argano si sfilacciarono e si spezzarono con una serie di schiocchi secchi. Il ponte levatoio precipitò proprio mentre Emma arrivava con Maximus.
Passò sopra di esso, seguita da Regina.
Gli uomini che erano rimasti a sorvegliare l’argano alzarono le mani e gettarono le armi, arrendendosi.
Dietro di loro Lilith atterrò proprio davanti al ponte levatoio per impedire l’accesso agli uomini di Cora, che combattevano in città.
- Regina... – iniziò Emma, quando piombarono in uno dei cortili interni.
Era deserto. In cortile non c’era nessuno. Dovevano essere scappati tutti o forse si era rifugiati all’interno del castello.
Non c’era nessuno... che fosse umano.
Da uno dei magazzini, sbucarono i due yaoguai. Il più grande davanti al più piccolo.
- Ma che cosa...? – cominciò Regina.
I mostri avanzavano a passi lenti, guardandole con i loro occhi di brace. Le teste enormi erano circondate da collane di fiamme, che crepitavano non appena gli yaoguai spalancavano le fauci, emettendo i loro tremendi ruggiti.
- Sono umani, Regina. Lo... lo erano, almeno. – disse Emma, affiancandola. Non sentiva più Morgana da un pezzo.
Regina alzò un momento lo sguardo verso la torre più alta del castello, quella in cui Tremotino era solito rifugiarsi e dove teneva tutti i libri di magia. Era vicino. Poteva avvertirlo chiaramente, così come avvertiva la presenza di sua madre.
L’aspettava. Le aspettavano tutte e due.
- Lo so. – rispose Regina.
Camelot. Regno di Elohim. Est.Lavik e Ginevra continuarono a volteggiare uno attorno all’altra per un bel pezzo.
Tenendo alto lo scudo, il lord del Cameliard ogni tanto menava fendenti contro gambe, braccia e fianchi della sorella, ma lei era svelta a lavorare di speroni. Il suo destriero scartava e lei parava quasi tutti i colpi che riceveva. A volte Lavik era riuscito a raggiungere il bersaglio, ma l’armatura di Ginevra non cedeva.
La regina se ne stava sulla difensiva, alla ricerca di un punto debole dell’avversario.
Lavik sferrò un colpo poderoso con la spada e Ginevra fu costretta a contorcersi sulla sella per parare con il proprio scudo. L’impatto navigò dal braccio alla spalla. Lo sentì nella mandibola, tanto che le fece sbattere i denti.
- Non ti diverti più, vero, sorellina? – berciò Lavik.
Lei non sprecò fiato per rispondergli. Contrattaccò mulinando la spada, con un fendente che investì Lavik sotto il braccio ancora sollevato. L’acciaio sibilò contro altro acciaio.
Lui lavorò di speroni, ruotando il corsiero per arrivare al fianco destro di Ginevra, privo di protezione. Sua sorella fece lo stesso e il suo destriero ruotò, grugnendo al cavallo avversario.
Lavik stava perdendo la pazienza. Sferrò un colpo tremendo dopo l’altro. Ginevra spostava lo scudo ed intercettava ogni affondo, ogni stoccata e cercava di tenerlo impegnato con qualche fendente, che Lavik parava quasi senza sforzo.
Un momento, pensava Ginevra.
Un momento solo.Aveva capito dove poteva colpire. Ogni volta che il fratello sollevava la spada per sferrare un fendente, sotto il suo braccio si apriva un varco senza nessuna piastra d’acciaio a coprirlo.
Tuttavia Lavik non le lasciava molto spazio per sferrare la mossa decisiva.
La spada si sollevò, si schiantò, fu strappata dallo scudo e tornò ad alzarsi. Lavik borbottava, imprecava sottovoce ogni volta che sembrava sul punto di darle il colpo di grazia e non riusciva a oltrepassare le sue difese.
Lavik levò il braccio.
Ginevra lanciò l’affondo di spada lunga, la punta dritta verso quel varco.
Rapido com’era apparso, il varco tornò a chiudersi. La punta della lama raschiò contro una delle piastre.
Lavik, furibondo, attaccò urlando e spaventando persino il cavallo. Ginevra alzò il braccio e incassò duramente. Un fendente al fianco le strappò un gemito di dolore e il fratello rise, consapevole del vantaggio.
Ginevra vide che lo scudo stava per cedere. Ancora qualche colpo di spada e avrebbe dovuto gettarlo via. A quel punto sarebbe stata ancora più scoperta.
Lavik colpì di nuovo lo scudo, lo devastò quasi e sollevò ancora la propria arma per sferrare un altro fendente.
Ginevra serrò la mano sull’impugnatura e affondò con tutta la forza che aveva. Spinse attraverso le maglie di ferro e le piastre. Trovò il varco e la lama affondò nella carne.
Vide l’espressione incredula del fratello. I suoi occhi si spalancarono e la fissarono, furiosi. Il colpo che voleva sferrare non lo sferrò mai. La spada gli cadde di mano e dalla sua bocca proruppe un urlo selvaggio.
Mentre Lavik scivolava giù dal cavallo, il sangue che sgorgava dalla ferita e dalla bocca, Ginevra si scoprì a non provare nulla di particolare per quella morte. Un tempo aveva cercato di voler bene a suo fratello, ma l’atteggiamento di lui l’aveva sempre allontanata. L’ostilità nei confronti di Artù e di Lancillotto lo aveva ottenebrato. Era sempre rabbioso e, quando non lo era, non la degnava di uno sguardo, come se lei non valesse niente. Suo padre aveva fatto male a riconoscerlo e a renderlo erede delle sue terre.
Lavik fu colto dalle convulsioni. I suoi piedi sbatterono contro l’erba insanguinata e la sua schiena si inarcò.
Infine spirò. Il cavallo era scappato quando il cavaliere era caduto di sella.
Dall’esercito della regina Ginevra si levarono una serie di acclamazioni. Lei guardò Morgause e vide la sua faccia di pietra, impenetrabile.
Ginevra si portò le dita alla bocca e fischiò. Il drago si levò in volo.
Sir Kay lanciò un grido di battaglia. Il primo a muoversi fu Bedwyr, il giovane che aveva avuto abbastanza sangue freddo da inoltrarsi nel campo nemico. Lanciò il suo destriero al galoppo, distanziando rapidamente la prima fila.
- Che cosa fanno? – si chiese Morgause. Non era sorpresa che Lavik fosse morto. Sapeva benissimo che sarebbe successo dal momento in cui aveva accettato la sfida lanciata da Ginevra. Lavik era un buon combattente, ma era accecato da una rabbia che lo accompagnava forse da quando era nato. Ginevra era furba, attenta ed era capace di vedere. Osservava il suo avversario. Il duello era l’opportunità migliore per lei perché le dava la possibilità di cercare il punto debole del nemico, mentre se ne stava sulla difensiva.
Ma quel ragazzo. Che cosa aveva di strano? Era sicura di... di averlo visto. In una visione. Un barlume di Vista aveva cercato di mostrarle qualcosa prima che partissero per Elohim. Le aveva mostrato un uomo biondo in sella a un cavallo, ma la sua Vista non era limpida e non lo aveva scrutato bene in viso.
I Diseredati risposero al grido di battaglia di sir Kay, ma Morgause impose loro di non muoversi. Gli arcieri incoccarono le frecce.
Il giovane biondo tirò le redini con forza. Il cavallo s’impennò e lui rimase saldamente in sella. Alzò una mano.
Partì una pioggia di frecce.
Allora il vento sollevò i capelli di Bedwyr e Morgause vide le orecchie a punta.
- Un maledetto elfo! – urlò uno dei Diseredati.
No. Un elfo a metà, pensò Morgause, incredula.
I lineamenti elfici si erano persi nei tratti umani. L’unica cosa che lo distingueva dagli altri erano le orecchie. E la magia, indubbiamente. La magia elfica scorreva nel suo sangue. Non era veloce come un elfo, né altrettanto longevo di certo, ma era pur sempre figlio di uno di loro.
La magia elfica era la più potente, soprattutto se a lanciare l’incantesimo era qualcuno con sangue elfico nelle vene.
Le frecce si polverizzarono ben prima di raggiungere il bersaglio.
Du Sùndavar Freohr.La morte delle ombre. Morgause udì le parole anche se era ancora a qualche iarda di distanza.
Gli uomini creati dall’incantesimo oscuro si dissolsero, trasformandosi in polvere, che venne subito rapita dal vento e gettata in faccia alla retroguardia. Molti cavalli impazzirono. Si scontrarono fra di loro, rotearono gli occhi fino a mostrare solo il bianco, scartarono, disarcionarono i soldati. Chi riuscì a rimanere in sella ebbe il suo bel daffare per tenerli a bada.
L’esercito si era notevolmente ridotto.
Furibonda, Morgause lanciò un incantesimo nella Lingua Antica, gridando e fece cadere il mezzelfo da cavallo. Il ragazzo ruzzolò. Si rialzò più veloce che poté. La signora del Lothian cercò di penetrare le sue difese, ma non poteva usare l’elfico; una sola parola in quella lingua l’avrebbe lasciata senza fiato e senza forze. La magia si scontrò con le barriere mentali del giovane. Certamente un elfo avrebbe facilmente potuto spezzare le difese, ma non lei.
Le tre linee dell’esercito di Ginevra si mossero come un unico uomo e si riversarono sulla piana come una gigantesca onda. Una cacofonia agghiacciante accompagnò l’avanzata. I Diseredati affondarono i calcagni nei fianchi dei loro destrieri e si lanciarono in avanti, senza aspettare ulteriori ordini.
Morgause seppe di essere stata sconfitta.