CITAZIONE
Nn 6 riuscita a inserire nella Battaglia Finale gli spiriti animali tratti da"Mononoke",ma pazienza....
Mi sono dimenticata completamente di quella parte.
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LONG LIVE THE QUEENS
Valle di Yei. Regno di Mehlinus. Nord.- Avrei dovuto ucciderlo io! – esclamò Killian, agitando il moncherino.
Emma gli aveva portato una pagnotta e lo aveva trovato e sorseggiare dell’acquavite. L’uomo aveva recuperato un po’ di colore, anche se gli occhi erano segnati ed era piuttosto debole. I guaritori avevano spinto il moncherino nel fuoco, giusto perché volevano essere sicuri che la ferita non si infettasse, costringendoli ad amputare anche il braccio. Praticamente tutto il campo lo aveva sentito urlare e imprecare.
Ma Emma immaginava che quel dolore non fosse niente rispetto a ciò che provava per il fratello che aveva perduto per colpa di Tremotino. E non era l’unico.
- Sì, avrei dovuto ucciderlo io, Swan. – tornò a dire. Accettò la pagnotta e ne staccò un pezzo consistente. Parlò con la bocca piena, sputacchiando briciole. - Maledetto, Coccodrillo!
Viktor aveva perso Gerhardt. Il suo corpo era stato bruciato quella mattina insieme a molti altri cadaveri. Civili e soldati. Ruby aveva visto morire non solo la madre, ma anche il compagno e Granny ovviamente aveva perso una figlia. E la sua lupa, Won-Tolla. La manticora ne aveva fatto scempio. Anche Granny era ferita. Merlino aveva curato i profondi tagli sul braccio, che era stata proprio Won-Tolla a procurarle, quando era sotto l’effetto dell’incantesimo oscuro di Cora.
Emma era passata da lei per vedere se avesse bisogno di qualcosa. Stava vegliando la lupa che l’aveva accompagnata per anni e la figlia Anita. Non piangeva. Teneva la sua balestra in grembo. I capelli le ricadevano ai lati del viso, disfatti. Il suo volto sembrava quello di una centenaria. Le rughe le parvero più profonde e la sua stanchezza era abissale.
- Si riprenderà? – aveva chiesto a Merlino, preoccupata.
- Sì. – aveva risposto il mago. Anche lui aveva un’aria sfinita. Era passato da un ferito all’altro e aveva usato i suoi poteri e le sue conoscenze per curare ferite e contusioni o per lenire il dolore di chi non poteva essere aiutato. In qualche caso aveva portato la misericordia per evitare che quegli uomini soffrissero più del dovuto. – Lei ce la farà. Il braccio guarirà, anche se le cicatrici rimarranno.
Graham aveva trovato anche Quinn, sebbene ci fosse voluto un giorno intero, anche con l’aiuto di Phao e Akela. Era nascosto sotto i resti di una casa crollata, ma era morto perché era stato trafitto alle spalle. Un colpo scorretto, come quello che Seamus aveva inflitto a Peter anni addietro.
- Mi dispiace. – era riuscita a dire Emma, vedendo il corpo dell’uomo sulla barella improvvisata.
Graham aveva scosso la testa e le aveva sorriso. - Non sei tu a doverti scusare. Tu hai fatto il possibile e ognuno di loro sapeva a cosa stesse andando incontro. Sei stata... una vera salvatrice. Sarai una grande regina.
Ma anche così... sono morti per me, aveva pensato Emma.
Era stato difficile trasportare tutti quei feriti e tutti quei morti. A volte non era stato possibile e Merlino aveva trascorso giornate intere a Nymeria per dare una mano agli abitanti e a chi non poteva spostarsi. Aveva ricostruito delle case e smosso delle macerie, insieme a Daniel e ad alcuni uomini della guardia di Regina, che le erano rimasti fedeli. I cavalieri che non erano feriti avevano dato una mano con le pire. I guaritori si spostavano da una tenda all’altra, ronzando intorno ai loro pazienti, somministrando intrugli, pozioni e applicando impiastri. Avevano assistito con sgomento ad alcune operazioni portate avanti da Viktor, che aveva estratto milze e asportato parti di organi, salvando delle vite, nonostante i metodi poco convenzionali. Aveva fatto la stessa cosa con Gawain, dilaniato dagli artigli di una manticora, ma non aveva potuto aiutare molto. Agravain aveva guardato gli occhi del fratello spegnersi e poi chiudersi per sempre e aveva maledetto Cora, Tremotino e la sua stessa madre, le aveva augurato la morte tra mille sofferenze.
Artù seguiva Merlino e cercava di dare conforto agli uomini che non erano in grado di alzarsi. Permetteva loro di toccare il fodero di Excalibur, anche se gli incantesimi di Avalon sembravano proteggere soprattutto lui.
Emma sospirò. Regina le venne vicino e le prese la mano.
- Stai bene?
Regina annuì. Si morse il labbro. – Io sì. Non ho potuto aiutare tutti.
- Non è colpa tua, lo sai. Anch’io ci ho provato, ma... posso solo curare ciò che sta in superficie. Non ne so quasi niente di danni interni. Viktor è più abile di me in quello.
- Non è molto che usi la magia. Sei stata brava.
La voce dolce e calda di Regina la rincuorò un poco. C’era troppo dolore intorno a lei. Le sembrava di sentire il sapore del sangue e l’odore della morte. Quando dormiva vedeva le facce di quelli che aveva ucciso e dei compagni che non ce l’avevano fatta.
Regina si chinò in avanti per baciarla e lei chiuse gli occhi, godendosi quel contatto.
Emma vide Galahad porgere due scodelle di zuppa a Jim Halloway e Will Nightshade. Loro lo ringraziarono e ne assaggiarono un cucchiaio, mentre osservavano quel cavaliere allontanarsi. Lo osservarono con timore reverenziale, ma anche con ammirazione, sapendo cosa fosse capace di fare.
- Galahad! – esclamò Merlino, andandogli incontro. – Vieni con me. Presto!
- Dove? – chiese lui.
Merlino lo portò nella tenda di suo padre. Lancillotto era sdraiato sul suo giaciglio, il viso e la fronte cosparsi di goccioline di sudore. Le spade degli uomini ombra lo avevano colpito alla spalla e al fianco. Quest’ultima ferita era la peggiore, piccola e sottile, ma profonda.
Galahad si inginocchiò vicino al padre. Lui aprì a fatica gli occhi.
- Oh, eccoti, dunque. Sei... sei stato davvero...
- Non parlare. Andrà tutto bene, padre. – disse, pur avendo la certezza che non fosse vero. In caso contrario, Merlino non sarebbe venuto a cercarlo. Eppure non poteva accettarlo.
Quando Lancillotto parlò, la sua voce suonò ancora potente. - Non ho molto tempo... e non andrà bene. Sto perdendo le forze e non posso fare nulla per fermare tutto questo. Perciò... vuoi accettare la mia benedizione?
- No, padre... sono sicuro che Merlino può curarti. Lui o... Viktor. Quel guaritore conosce... segreti. Ha salvato molte persone. Se lo chiamassimo...
- Così stanno le cose. Merlino ci ha già provato... per favore, ascoltami.
Galahad chinò il capo e annuì, sopraffatto. Lancillotto gli fece segno di avvicinarsi ancora, in modo che potesse mettergli una mano sul capo. – Sono molto... fiero di te. Molto. Spero che gli anni a venire possano darti ogni felicità. La Dea Madre... sarà con te. Tu sei... sangue di Avalon.
Piangendo, Galahad gli prese la mano, confortandolo come meglio poteva. Gli occhi ormai quasi spenti di Lancillotto vagarono ciechi su Merlino e infine si posarono oltre la spalla di Galahad. Sul volto del cavaliere che era stato come un fratello per Artù comparve un’espressione soddisfatta.
- Elaine... sapevo che ti avrei rivista. – mormorò.
Galahad si girò e vide Emma ferma sulla soglia della tenda. La mano libera di Lancillotto ricadde sulle coperte, proprio vicino alla sua spada, Aradonight. Il suo viso si rilassò e i suoi occhi lentamente si spensero.
- Padre?
La lama di Aradonight scintillò per un breve istante.
Con dita tremanti, Galahad chiuse gli occhi del cavaliere e si alzò. Cercò di restare saldo sulle gambe mentre si sentiva travolgere da un immane senso di perdita.
- Dobbiamo... credo che lui volesse essere seppellito a Camelot... nel caso in cui... – Galahad non continuò. Le sue guance erano rigate di lacrime.
- Sì, faremo come voleva lui. – disse Emma, stringendo a sé l’amico.
- Mio fratello è morto, vero? – chiese Lilith, in tono grave.
Emma annuì, avvicinandosi. La ragazza strinse le labbra e guardò altrove.
- Vorrei avere qualcosa da dire... a Galahad. Io non ho mai conosciuto il mio vero padre, ma lui... beh, lui sì ed era molto legato a Lancillotto. Io... non posso dire di averlo conosciuto bene. Abbiamo combattuto insieme a volte. La prima volta che l’ho visto avevo dieci anni... lui era già un cavaliere. Mi ha insegnato delle cose. - Lilith parlava più del solito. Era un fiume. Si vedeva che era turbata. Sbatté le palpebre come se si fosse resa conto di aver detto troppe cose. - Posso vederlo, secondo te?
- Sei sua sorella. Certo che puoi. Ma prima...
Aveva notato che Lilith teneva una mano su un fianco, proprio sotto al seno. Emma vide che la camicia di lino era macchiata di sangue e la sollevò per controllare la ferita. Era già stata pulita, ma le dava molto fastidio quando camminava.
- Sto bene. – disse Lilith.
- Ti do una mano. Non sentirai dolore. – Emma tenne la mano sospesa sulla sua pelle e dopo un momento essa cominciò a rigenerarsi. La ferita si chiuse e rimase solo la pelle intatta.
- Beh... grazie.
- No... grazie a te. Hai rischiato la tua vita per qualcuno che conosci appena.
Lilith sorrise. - In realtà... ho l’impressione di conoscerti da sempre.
Regina ormai era sfinita. Era stata una lunga giornata e immaginava che ce ne sarebbero state altre prima che Artù decidesse di ripartire per Camelot. Un corvo messaggero quella mattina aveva portato una lieta notizia. La città era salva. Ginevra aveva eliminato il fratellastro, Lavik e Morgause era in catene. Inoltre, Morgana era sopravvissuta al potente incantesimo che aveva messo in atto per poter proteggere Artù e i suoi uomini. Era ancora debole, ma si stava riprendendo.
Raggiunse la sua tenda e proprio mentre stava per entrare un uomo si fece avanti.
- Permettete? Vorrei... parlarvi, Maestà. Se mi faceste questo onore... – domandò. Si chiamava Percival. Regina lo ricordava perché Emma le aveva raccontato che era stato uno degli uomini che avevano viaggiato con lei, all’inizio.
- Percival, giusto? – domandò Regina. – Certo.
Il cavaliere entrò insieme a lei. Era alto e ben fatto, con i capelli biondi e la barba corta. Non indossava l’armatura, ma una comoda casacca rossa sopra la maglia bianca di lino. Intorno alla vita aveva il fodero con la sua spada. Sorrideva.
- Spero che non vi manchi niente. Artù voleva che me ne assicurassi. – disse Percival, guardandosi intorno.
- Ho tutto quello che mi serve. Il re è stato fin troppo generoso.
- Già. Lo penso anch’io.
Regina iniziò a capire che c’era qualcosa che non andava. Percival non sorrideva più ed era proprio davanti all’ingresso, come se volesse assicurarsi che lei non scappasse. Una mano era già sull’elsa.
- Ho una domanda, se me lo concedete. Perché dovrei fidarmi di voi?
Regina occhieggiò Stormbringer. Era fuori dalla sua portata. – Che cosa intendete dire? Spiegatevi meglio.
- Vi racconto una storia. – disse Percival, avvicinandosi di un passo. – Molti anni fa, un ragazzo tornò al suo villaggio, nel regno del nord... Mehlinus. Questo regno. Quel villaggio si chiamava Gléodan. E il ragazzo lo trovò in fiamme. Gli abitanti fuggivano, urlavano con il terrore negli occhi. Tutto il suo mondo bruciava come una pira funeraria.
La voce del cavaliere sembrava calma e solenne, ma nascondeva una furia incontenibile. Era qualcosa che Regina conosceva.
- Si nascose, sperando nella pietà. – continuò. – Ma arrivò... l’angelo della morte... che si guardò intorno, godendo del disastro che aveva causato. Quelle persone non avevano pagato i tributi. Ovvio, erano troppo alti. Avevano anche teso un’imboscata ad un gruppetto di soldati.
- Sentite...
- Ma prima di andarsene, vide il ragazzo. E in mezzo a quella strage, sapete che cosa fece? – Percival estrasse la spada. – Riuscì a sorridergli.
- Voi... eravate quel ragazzo.
- E voi siete l’angelo della morte. La Regina Cattiva. Oh, certamente molti concorderanno che fosse Vostra madre la Regina Cattiva. La chiamano già così. Ma io non credo che sia vero. Ce ne può essere più di una.
Regina era sicura che se avesse cercato di prendere Stormbringer, Percival l’avrebbe trafitta con la sua spada. Avrebbe potuto usare la magia contro di lui, ma sentiva che sarebbe stato scorretto. Ricordava benissimo il villaggio, sebbene non riuscisse a ricordare di aver visto un ragazzino e di avergli sorriso. Tremotino le aveva suggerito di usare la forza per piegarli, perché in caso contrario l’avrebbero derisa. L’avrebbero considerata una debole, che non era nemmeno in grado di tenere a bada un gruppetto male assortito di rivoltosi. Tremotino le aveva detto che se non avesse sedato quel focolaio nel suo regno, la ribellione si sarebbe estesa come un’epidemia.
- Perché me lo dite solo ora? Perché non siete venuto da me prima della battaglia? – chiese Regina.
- Artù non me l’ha permesso. Oh, lui mi ha concesso di partire insieme ad Emma. L’ho supplicato, perché non potevo starmene a Camelot ad aspettare, semplicemente. Ma non mi ha permesso di affrontarvi. Voleva che vedessi che non eravate la donna che credevo. – Percival aveva alzato la voce. Ora i suoi occhi verdi ardevano. – Avete salvato molte vite, lo riconosco. Avete ucciso quel mostro del Vostro consigliere e la vostra stessa madre. Ma... dovrebbe bastarmi? Chi mi assicura che non Vi rivolterete contro di noi? O contro Emma? Lei Vi ama... l’ho visto.
- Lo capisco. – disse Regina. – La vostra rabbia è comprensibile.
- Ho cercato di... di lasciarmela alle spalle. Quando ho saputo del piano di Vostra madre, ho cercato di... di comprendere. Ho raccontato la mia storia ad Artù e lui avrebbe anche potuto cacciarmi, ma non l’ha fatto. Tuttavia, non posso. Mio padre è morto, quel giorno. Molta gente che conoscevo è morta, urlando. Non avete concesso la misericordia a nessuno!
L’ultima parola si trasformò in un urlo e Percival caricò, tentando un affondo. Era molto rapido e Regina ebbe a malapena il tempo di indietreggiare.
- Che cosa fate?! – gridò Daniel, piombando dentro con la spada già sguainata.
- Toglietevi dai piedi, comandante. – disse Percival, guardandolo solo con la coda dell’occhio. – Questa faccenda non Vi riguarda. Lei ha ucciso la mia famiglia.
Daniel guardò prima Regina e poi il cavaliere di Artù. Si spostò alla sua destra, lentamente, tenendo la lama bassa.
- Gléodan è bruciata perché lei l’ha voluto. Era casa mia. Mi ha costretto a fuggire. – disse Percival.
- Ricordo Gléodan. – replicò Daniel, guadagnandosi per un momento l’attenzione del cavaliere. – Non ero ancora comandante, ma ricordo cosa accadde. Fu Tremotino a suggerire la strage.
- E lei l’ha compiuta. Si è divertita! – Percival sputacchiò goccioline di saliva. Era diventato rosso. Respirava con affanno come se fosse reduce da una lunga corsa. – Lei godeva di tutto quel... sangue. Godeva, portando la morte!
A Regina pulsavano le tempie per la collera. Ma nel suo cuore aveva covato gli stessi sentimenti di quell’uomo per anni.
- Regina è stata manipolata. – disse Daniel, usando un tono molto ragionevole. – Oh, sì. Ha commesso molti sbagli. Ha molto da farsi perdonare.
- Quello che ha fatto non si può perdonare. Ma si può vendicare. – disse Percival, muovendo un altro passo.
Daniel si mise in mezzo. - Ma lei... lei, come Voi, ha creduto ciecamente che i suoi genitori fossero stati assassinati dai sovrani di Anatlon. Ha creduto che il padre di Emma avesse ucciso il suo, colpendolo alle spalle. Tremotino e Cora le hanno inculcato queste bugie...
Regina non voleva che Daniel rischiasse in quel modo per aiutarla. Si fece avanti. – Daniel, non farlo. Percival ha ragione. Sono stata... una tiranna. Ho seminato il terrore. Il mio popolo... mi temeva. Ancora mi temono. Forse non smetteranno mai del tutto di avere paura di me.
- Ma la vendetta non è la strada giusta. – replicò Daniel, tenendo gli occhi fissi su Percival. – La vendetta porta solo altro dolore. Altro sangue. Regina l’ha imparato a sue spese. Sa che cosa significa essere... in balia della rabbia. Sa che cosa vuol dire desiderare la vendetta ad ogni costo. La vendetta... l’odio... l’hanno resa la persona che tu hai visto in quel villaggio.
Percival strinse le labbra. La sua mano tremò brevemente. L’altra era stretta a pugno.
- Tu puoi essere migliore di così. – continuò Daniel. – Puoi non lasciarti guidare dalla tua rabbia.
- E dimenticare? Non posso. – ribatté Percival.
- No, non dimenticare. Nessuno ti chiede questo. Nemmeno Regina dimenticherà mai quello che ha fatto. – Daniel rifletté un momento prima di andare avanti. Era pronto a battersi, se Percival lo avesse attaccato. Ma non voleva. Voleva che lo ascoltasse e pensava di aver trovato una breccia, uno spiraglio. - Ma quello che ti chiedo è di... non lasciare che il desiderio di vendetta ti accechi. Ti chiedo di guardare dentro di te e di provare a capire che Regina è stata sommersa dalle menzogne. Ha agito spinta dalla sua sete di vendetta. Tu hai ancora la possibilità di non commettere gli stessi errori. Sei stato... valoroso. Ti ho visto combattere e salvare i tuoi compagni. Sii un cavaliere di cui Artù potrà sempre andar fiero.
Regina guardò Percival in attesa. Il cavaliere, che era stato un ragazzino spaventato a Gléodan e aveva mentito ad Artù dicendo che suo padre era un lord dell’ovest quando in realtà era solo un mercante, abbassò gli occhi. Fissò la sua spada, la lunga lama che scintillava nella penombra della tenda. Rimuginò per un tempo che a Daniel e a Regina parve lunghissimo. Lottò con se stesso.
Alla fine emise uno sbuffo, come se avesse trattenuto il respiro e poi rinfoderò la spada.
***
Camelot. Regno di Elohim. Est. Artù tornò a Camelot passando per la Via dei Re. Merlino non aveva altri fagioli magici a disposizione.
Lungo la strada incontrarono molta gente che si fece da parte e guardò la colonna con gli occhi sgranati.
Le notizie sulla battaglia avevano iniziato a circolare e le persone fissavano, affascinate, le due regine che cavalcavano vicino al re di Elohim. Qualcuno lanciò dei fiori. Altri si inchinarono rispettosamente. Una donna sollevò il proprio bambino di appena un anno e chiese ad Emma di benedirlo. Lei non aveva idea di come si benedicesse un bambino, ma gli posò una mano sulla testa e gli augurò di diventare coraggioso e di essere felice. Il piccolo rise e allungò la manina grassoccia, prendendo una ciocca dei suoi capelli biondi.
Camelot era in festa per il ritorno del re. Ginevra lo attese davanti al castello e Artù l’abbracciò stretta e la baciò quando scese da cavallo. Strinse suo fratello Kay e poi gli venne presentato Bedwyr, il mezzelfo che aveva permesso a Ginevra di vincere con facilità.
- Bedwyr. – disse Artù, solennemente. – Voglio ricompensarti per quello che hai fatto. Chiedimi pure quello che vuoi.
- Sire, quello che ho fatto, l’ho fatto perché era giusto. Sono solo un vassallo di lord Ban.
- Ma tua madre era un’elfa. Ed è anche grazie a te che Camelot è salva. Pensaci. Qualsiasi cosa mi chiederai, farò in modo di dartela.
Lord Ban volle vedere suo figlio e pianse a lungo davanti al corpo di Lancillotto, circondato dai suoi figli legittimi. Anche Vivianne si avvicinò. Aveva mandato Lancillotto a Camelot quando era poco più che un bambino, spinta dalla visione di Merlino che lo aveva scorto vicino al futuro re di Elohim e in seguito lo aveva visto poche volte. Gli posò una mano sul viso olivastro. Grazie all’incantesimo di Regina, il corpo si era conservato e sembrava che dormisse o che avesse esalato l’ultimo respiro solo pochi attimi prima. Cercò l’anello che gli aveva dato e che avrebbe dovuto proteggerlo, ma notò che alla mano destra mancavano due dita, il mignolo e l’anulare. Certamente un colpo di spada le aveva tranciate e l’anello era andato perduto.
Una lacrima solitaria le rotolò sulla guancia. Vivianne si chinò e lo baciò sulla fronte.
Il giorno dopo Ginevra organizzò un banchetto sontuoso per festeggiare la vittoria e le due regine.
Era arrivata gente da ogni parte di Elohim e dall’ovest. Giunsero persone che ricordavano la caduta di Snowing Castle e che volevano tornare a casa. Vennero gli uomini di lord Fergus del Dunbroch, alti e barbuti, avvolti in pelli e vestiti a scacchi, adorni di pietre. Gli uomini di Ban, sebbene il lord se ne stesse in disparte, abbattuto e stanco, con un bicchiere di sidro in mano. C’erano donne e bambini di Camelot, figli dei cavalieri e delle guardie personali di ognuno di loro. Si presentò un uomo robusto e bruno, che era Ector, il padre adottivo di Artù. Era venuto persino Edwin, il padre di Elaine e nonno di Galahad. Alto e magrissimo, bianco come il nipote, sembrava propenso alle chiacchiere e bevve del vino insieme al ragazzo, ricordando Lancillotto. Ovviamente c’erano Morgana e Vivianne, che si tenevano in disparte, accanto a Merlino e qualche altra sacerdotessa che formava il loro seguito. Graham - e ciò che restava del Branco - non c’era.
E c’era Mordred. Il ragazzino stava il più possibile vicino ad Artù. Guardava tutti e tutto, non si perdeva niente. Non aveva l’aria confusa e nemmeno persa, anzi, sembrava molto curioso. A volte faceva domande. Si rivolgeva a Merlino con deferenza, ma non abbassava mai la testa.
- Si vede che è stato istruito da Morgause. – osservò Regina, fissando il ragazzino con i grandi occhi celesti.
- Lo è stato, ma è anche figlio di Artù ed è sangue di Avalon. – disse Emma. – Ed è l’erede al trono.
Era quasi il tramonto quando lord e nobili cessarono di sfilare. Artù era rimasto in piedi per buona parte del pomeriggio a parlare con immutata cortesia con ognuno di loro, come se fosse la prima volta che li vedeva. Emma e Regina avevano fatto lo stesso, sentendosi rivolgere molte domande sul regno che avrebbero ricostruito insieme, su uomini ombra, manticore e basilischi, sebbene Regina non avesse mai evocato un basilisco e nemmeno sua madre l’aveva fatto o almeno non ricordava di averne visti.
Alla fine i servitori annunciarono l’inizio del banchetto. Artù sedette al tavolo con i suoi cavalieri e chiese anche a Emma e Regina di unirsi a lui. Tenne un posto anche per Bedwyr, che venne accolto come un cavaliere. Uno dei figli di Agravain gli chiese se potesse fargli vedere le orecchie e il ragazzo si scostò i capelli biondi per mostrargliele.
Quando ebbero finito di cenare, Artù si aggirò tra gli ospiti, insieme alle due regine. Vicino al sovrano di Camelot c’erano sempre Galahad, che non aveva mangiato molto ed era immerso nei suoi pensieri, e Agravain, che sembrava costantemente in procinto di afferrare uno dei tavoli e rovesciarlo. Quest’ultimo troneggiava in mezzo al gruppetto come un toro accanto ai destrieri eleganti. Emma indossava un’ampia veste bianca, spiccando tra i nobili vestiti di colori vivaci come uno dei cervi bianchi che avevano visto a Findias. Regina, invece, era incredibilmente elegante e attirava molti sguardi nella sua veste rossa, con la spilla rotonda e d’argento che chiudeva il mantello all’altezza della spalla.
- Mio signore e re. – disse un uomo, inchinandosi davanti ad Artù. Indossava una tunica verde e stringeva una lira al petto.
Emma lo riconobbe immediatamente. Lo aveva incontrato sulla strada per il Cameliard, lo aveva fermato per chiedergli delle informazioni e lui le aveva offerto del sidro.
- Geoffrey da Monmouth. – si presentò il bardo. Si profuse in un altro inchino per le due regine. Emma aveva un aspetto diverso quando lo aveva incontrato, perciò Geoffrey non si rese conto di chi lei fosse. O forse, come le aveva detto Regina, aveva solo un ricordo molto vago di quell’incontro. - Sono un umile bardo. Vengo dal Gwynedd e ho viaggiato a lungo.
- Benvenuto, dunque. Sei qui per allietarci con qualche ballata? – domandò Artù.
- Non solo. In realtà... mi piacerebbe scrivere delle ballate. Canzoni che parlino della già leggendaria battaglia di Nymeria. – Si rivolse alle due regine. Aveva occhi di un azzurro profondo e penetrante, infossati sotto una fronte quasi sproporzionata, la barba folta e il sorriso incerto ma cordiale che Emma ricordava. – Sempre che siate d’accordo.
Artù guardò Emma e Regina, che annuirono. – Beh, non ho nulla in contrario, se racconterai solo la verità.
- Certo, Sire. Nient’altro che la verità. Vi ringrazio. – E si inchinò di nuovo.
Dopo un rapido giro tra lord e amici, Artù attirò l’attenzione degli ospiti, invitandoli al silenzio. Tutti si acquietarono.
- Come voi ben sapete, presto Emma e Regina partiranno per il sud. Anatlon... tornerà ad essere un regno prospero. Servirà del tempo, ma sono certo che... molta gente che ha dovuto abbandonare Snowing Castle molti anni fa, vorrà tornare a casa.
Vi furono acclamazioni e borbottii di assenso. Qualcuno sollevò il boccale. Emma si sentì vagamente in imbarazzo davanti a tutta quella gente e visse un momento di smarrimento. Aveva passato anni in una foresta e prima... aveva ricordi di Snowing Castle e di come avevano regnato David e Mary Margaret, ma non era sicura che sarebbe riuscita ad occuparsi di tutto. La corona che Artù le aveva messo sul capo, sottile e dorata, sembrò pesare come un macigno.
Poi Regina allungò la mano per stringere forte la sua. Emma la guardò, sapendo che non sarebbe mai più stata sola. Le sorrise, riconoscente e Regina le accarezzò le dita con il pollice.
- Inoltre... – Artù rifletté prima di continuare. – Sapete bene che... ho perso un caro amico in questa guerra. Era molto più che un amico. Era un fratello, prima ancora di essere uno dei miei Cavalieri e di occupare il Seggio Periglioso.
Ginevra si accorse che il marito stava per piangere. Lo vide sforzarsi per mantenere il controllo. In sala nessuno parlava.
- Lancillotto. – Artù alzò il proprio boccale di sidro e venne subito imitato da molti altri. – Lance è stato al mio fianco fino alla fine. Non ha ceduto nemmeno quando era già gravemente ferito. Mi mancherà... ma so per certo che ha un degno successore.
Galahad sorrise lievemente.
- Per questo... Galahad, per favore, prendi questa. – Artù porse Aradonight, la spada di Lance, al ragazzo. Era stata ripulita e risposta nel fodero in pelle di daino.
- Io... ma, Sire... – iniziò Galahad, confuso. – Non potrei mai... ho già una spada e questa...
Artù scosse la testa e gli appoggiò una mano salda sulla spalla. - Certo che puoi. Lancillotto era molto orgoglioso di te. E ho visto come hai combattuto. Se non vorrai usarla, non la userai, ma ti prego, prendila. Spetta a te.
Galahad esitò ancora un momento. Allungò le dita esitanti. Forse pensava che la spada si sarebbe rivoltata contro di lui.
Infine la prese e poi la estrasse, sollevandola in alto, affinché tutti potessero vederla. Lo scudo di Lance, che recava un’aquila con il pesce stretto tra gli artigli, era stato appeso al Seggio Periglioso, che sarebbe rimasto vuoto.
Artù sollevò di nuovo il boccale. – Lunga vita alle regine!
Poco dopo, Emma vide Ginevra che si faceva aria con un tovagliolo ricamato. Sir Kay le offrì del sidro, ma lei lo rifiutò.
- State bene, maestà? – domandò Emma. – Non avete mangiato molto e sembrate affaticata.
- Non c’è bisogno che mi chiami maestà, Emma. Davvero. – ribatté Ginevra, sorridendole. – Sto bene. Ho bevuto solo acqua perché non posso bere altro. Me lo hanno sconsigliato. Per via del mio stato...
- Siete incinta, mia signora? – esclamò Kay, posando immediatamente il boccale. Lo disse a voce molto alta, attirando qualche sguardo. – Beh, congratulazioni!
- Sì, così dice Merlino. Ed ora grazie a Voi non è più un segreto, sir Kay.
Il fratello adottivo di Artù diventò rosso quanto i suoi capelli.
- Sento che un giorno avremo guai seri. – disse Vivianne, osservando Ginevra e poi Mordred, l’altro figlio di Artù, per il quale non provava alcuna simpatia, sebbene sembrasse un innocuo ragazzo di appena undici anni. Era stato cresciuto da Morgause, che poteva avergli inculcato chissà quali idee e pareva già fin troppo consapevole della sua importanza e del suo ruolo. C’era qualcosa di misterioso nel suo sguardo celeste. Erano gli occhi di Artù, eppure era anche diversi, in un modo che Vivianne non riusciva a spiegare, ma che non le piaceva affatto.
- Sì, certamente. La pace non dura mai così a lungo. – Morgana aveva un aspetto migliore. Si sentiva in forze, anche se non aveva ancora ritrovato completamente la salute. Un’altra cosa possibile era che non la ritrovasse mai del tutto. Era una conseguenza dell’incantesimo che aveva messo in atto.
- Non ci sarà pace nemmeno quando saremo morti. – commentò Merlino. Le mani stringevano saldamente il bastone. Anche lui guardava Mordred, ma la sua espressione era indecifrabile. – Ma conviene godersi quello che abbiamo ora.
Avalon. Diversi giorni dopo. Morgause venne riconosciuta colpevole.
La sera in cui la condannarono a morte druidi, sacerdotesse e accolite, alcune delle quali poco più che bambine, si fermarono nei pressi del lago, avvolto dalle nebbie impenetrabili e attesero. Alcune di loro non avrebbero voluto trovarsi lì, ma Merlino pensava che fosse necessario che vedessero che cosa accadeva a chi era sangue di Avalon e tradiva, portando solo morte.
Morgana arrivò prima della prigioniera, accompagnata da un’ancella e da Vivianne, che poi si fece da parte.
Morgause non aveva più detto una parola da quando Ginevra l’aveva gettata nelle segrete e non disse niente nemmeno quando la portarono davanti al lago, in catene. Nonostante i capelli rossi arruffati, la veste lacera e i graffi sul viso, la signora del Lothian non abbassò la testa davanti alla Somma Sacerdotessa, che aveva indossato la veste rossa che normalmente usava durante le cerimonie e quando impartiva la giustizia.
L’aria era densa e pesante.
- C’è qualcosa che vuoi dire? – domandò Morgana alla zia, a voce alta, in modo che tutti potessero sentire.
Non vi fu risposta. Gli occhi verdi di Morgause erano fissi in quelli di Morgana.
- Non mi sorprende, anche se avevo sperato diversamente. – disse la Somma Sacerdotessa. Con un gesto, ordinò all’ancella di farsi da parte e lei si affrettò ad allontanarsi.
Intorno alle due donne si creò il vuoto. Igraine era in prima fila, accanto a Vivianne e sebbene Morgause fosse anche la sua sorellastra, non l’avrebbe mai perdonata né tantomeno aveva obiettato quando Morgana l’aveva condannata a morte.
O a qualcosa di ben peggiore della morte.
Quello che Morgana fece, lo aveva fatto pochissime volte da quando era diventata Somma Sacerdotessa, ma non esitò.
- Non distogliete gli occhi.
Trilli stava giusto per farlo, ma le parole della sua insegnante e il suo tono rigido le imposero di obbedire.
Morgana appoggiò la mano sul collo di Morgause, che fece per ritrarsi a quel tocco, ma lei serrò le dita intorno alla sua gola e non glielo permise. Poi pronunciò un’unica parola magica nella Lingua Antica e Morgause venne sospinta violentemente all’indietro.
Il suo corpo volò dritto nelle nebbie e scomparve.
Un’accolita gridò, spaventata a morte e cadde a terra svenuta.